Dopo una latitanza abbastanza lunga, ne approfitto di un simpatico giorno di pioggia per tornare qui nel mio blog e recensire non un libro qualsiasi, ma IL libro, quello che fino ad ora è stato la mia miglior lettura del 2015:L'invenzione della madre
In realtà, far uscire qualcosa di sensato su questo piccolo, grande capolavoro, dalla mia testolina è piuttosto difficile: avete presente quando vi piace talmente tanto una persona che non sapete come spiegare il perchè sia così? Ecco per me è lo stesso.
Ma giuro che qualcosa riuscirò a farvi capire lo stesso, anche se ha talmente tanti spunti di riflessione che non riuscirò mai a spiegarli tutti.
Per prima cosa partiamo dalla "trama" se così la vogliamo chiamare.
Quella che infatti ci ritroviamo a leggere è più la cronaca della malattia terminale di una donna, malattia affrontata non tanto da lei (che ormai è quasi totalmente abbandonata ad essa), quanto dalla sua famiglia, ed in particolare da suo figlio Mattia. E d'altronde il vero protagonista della storia raccontata in questo libro è proprio il suo rapporto con il terribile cancro della madre, cancro che lo costringerà a riconsiderare la propria vita, mettendolo per la prima volta davanti alla consapevolezza di dover abbandonare lo status di ''bambino'' per diventare finalmente un uomo.
In parte quindi è anche una sorta di romanzo di formazione, in cui vediamo come su uno schermo, i pensieri e le azioni di un ragazzo prima e di un adulto poi, in un cambiamento progressivo che lo porterà a tagliare i ponti con il passato, liberandosene quasi fosse una vecchia pelle, e a decidere finalmente di crescere.
Come ho accennato all'inizio, tutto questo è raccontato in terza persona, quasi fosse una cronaca, con tanto di dettagliate informazioni ricavate da studi scientifici sui tumori e sulla morte più in generale. Il lettore ha quasi l'impressione di star leggendo un giornale, con l'unica differenza che qui, non sono menzionati né nomi, né luoghi, a mio avviso, proprio per evidenziare ancor di più i fatti e la centralità nella narrazione di Mattia e della sua crescita, totalmente inversa rispetto al declino della madre.
E dal mio punto di vista sono proprio queste le due intuizioni geniali di Peano: usare l'antitesi per sottolineare questi due percorsi opposti, l'uno verso la vita, l'altro verso la morte e la scelta della cronaca come strumento narrativo.
Senza dubbio sarebbe stato più facile raccontare la storia dal punto di vista di Mattia arricchendo il tutto con i sentimenti più intimi del protagonista. Eppure Peano decide di esporci i fatti in maniera del tutto fredda, impersonale e soprattutto senza sentimentalismi di sorta.
Ecco quindi arrivarci la pura e semplice realtà della vita accanto ad un malato di cancro che sta morendo: ed è proprio questa esposizione così cruda e scevra di sentimenti che ferisce ancora di più il lettore. Ogni dettagliata descrizione della malattia è una scudisciata, e le ferite che apre sono dure da far rimarginare perchè resteranno anche molto dopo aver finito il libro.
Insomma, un libro particolare che ha sicuramente diviso i suoi lettori tra coloro che come me lo hanno trovato la punta di diamante della narrativa contemporanea italiana di quest'anno e coloro che invece lo hanno detestato senza alcuna possibilità di ripensamento, ma che al di là di tutto secondo me merita non una, ma mille possibilità.
Leggetelo, rifletteteci su a lungo e poi fatemi sapere la vostra opinione, che, come sempre, sono curiosissima di ascoltare.
Ora vi saluto e vi mando un bacione grande da quel di Brusson, sperando di tornare presto a casa e di essere più presente :)
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